CONFEDERAZIONE GENERALE ITALIANA DEL LAVORO - CALABRIA
8 Agosto 1956: La crisi non deve farci dimenticare Marcinelle

Martedì 07 Agosto 2012
Cgil Calabria
8 Agosto 1956: La crisi non deve farci dimenticare Marcinelle Dopo 56 anni anni dalla tragedia dei minatori rimasti intrappolati nelle miniere belghe di Marcinelle l'inca rilancia la battaglia contro gli infortuni sul lavoro che restano ancora una piaga estesa, complice anche una crisi occupazionale gravissima sopratutto giovanile e un aumento del lavoro sommerso, che impediscono una rilevazione statistica esaustiva dell'andamento del fenomeno. Anche quest'anno il Comune di Marcinelle, l'8 agosto farà la consueta cerimonia di commemorazione per ricordare le vittime."l'inca - afferma Morena Piccinini, presidente del patronato della Cgil - si unisce a quanti vorranno ricordare la tragedia belga, come monito per chi oggi tende a considerare gli incidenti sul lavoro un fenomeno marginale. "Le cronache quotidiane ci raccontano un'altra storia - sottolinea Piccinini -. Il numero degli eventi infortunistici è ancora molto alto e a questi si aggiungono le dramamtiche situazioni di crisi industriale come quella dell'ilva di taranto, dove in questi giorni i lavoratori sono costretti ad una dura battaglia per difendere il proprio posto di lavoro insieme al diritto alla salute, anche costringendo chi ha responsabilità manageriali ad avviare una bonifica necessaria quanto indispensabile per rimuovere l'inquinamento ambientale che sta provocando gravi malattie agli abitanti di Taranto". La tragedia di Marcinelle rievoca gli anni più bui della storia. Dopo la Liberazione, la necessità di una ricostruzione industriale porta il governo belga a lanciare la “battaglia del carbone”. La prima volontà delle autorità era quella di evitare di ricorrere alla manodopera straniera, ma ben presto si rendono conto che l'obiettivo non potrà mai essere raggiunto contando unicamente sulla manodopera belga. Si rende obbligatorio il ricorso all'immigrazione massiccia degli stranieri e poichè l'Europa dell'est e, più in particolare, la Polonia non sembrava più una potenziale riserva di manodopera, il Belgio si rivolgerà all'Italia che usciva, esangue dalla II guerra mondiale dopo 20 anni di fascismo. Il protocollo di intesa italo-belga del 23 giugno 1946 prevedeva l'invio di 50.000 lavoratori italiani in cambio della fornitura annuale di un quantitativo di carbone, a prezzo preferenziale, compreso tra le due e le tre milioni di tonnellate. Per convincere questi uomini a lavorare nelle miniere belghe, si affiggono in tutta Italia manifesti che presentano unicamente gli aspetti allettanti di questo lavoro (salari elevati, carbone e viaggi in ferrovia gratuiti, assegni familiari, ferie pagate, pensionamento anticipato …). In realtà le condizioni di vita e di lavoro erano veramente dure. All'arrivo a Bruxelles cominciava lo smistamento verso le differenti miniere dopodichè i lavoratori venivano accompagnati nei loro “alloggi”: le famose “cantines”: baracche, insomma, o “hangar”, gelidi d'inverno e cocenti d'estate, veri e propri campi di concentramento dove pochi anni prima erano stati sistemati i prigionieri di guerra. La mancanza di alloggi convenienti, previsti peraltro dall'accordo italo-belga, impediva alla maggior parte dei minatori il ricongiungimento con la propria famiglia, Trovare un alloggio in affitto era infatti quasi impossibile all'epoca. Senza contare la discriminazione. Spesso sulle porte delle case da affittare, i proprietari scrivevano a chiare lettere “ni animaux, ni etranger”: nè animali, nè stranieri. Un'integrazione difficile, dunque, a cui si sommavano le condizioni di lavoro particolarmente dure e insalubri nonchè le scarse misure di igiene e sicurezza. Tra il 1946 e il 1955, quasi 500 operai italiani trovarono così la morte nelle miniere belghe, senza contare il lento flagello delle malattie d'origine professionale. La più pericolosa di queste era la silicosi, causata dalle polveri della miniera che depositandosi nei polmoni, creava insufficienze respiratorie.
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